porto 15 bologna

dinamiche di gruppo e processi decisionali

dal conflitto al cambiamento

Formazione con Lucilla Borio (Ecovillaggio Torri Superiore)
Bologna, 21 e 22 maggio 2016

Vivere e collaborare con gli altri si rivela spesso difficile ma ci consente di raggiungere risultati che da soli non potremmo ottenere. La scelta di condividere spazi e tempi ci porta inevitabilmente a incontrarci/scontrarci, e l’energia generata dal contatto interpersonale può portare risultati positivi o sfociare in un caos ingestibile. In questi due giorni di seminario affronteremo il tema del conflitto, e parleremo di come presentare proposte operative al gruppo e prendere decisioni in modo partecipato e costruttivo.

programma

Sabato:
9.00 / 11.00 La sfida di vivere e lavorare insieme. Io e me stesso, il conflitto a livello interiore Io e gli altri, il conflitto a livello esteriore, la dinamica del rango
11.30 / 13.00 Visione, missione e accordi di base: importanza dei tre documenti fondanti14.00 / 14.30 Esercitazione pratica
14.30 / 16.00 Come presentare proposte al gruppo in modo corretto e costruttivo
16.30 / 18.30 Il processo decisionale: criteri, attori e fattori in gioco; dalla proposta alla decisione

Domenica:
9.00 / 11.00 Metodi decisionali a confronto: maggioranza, consenso e assenso. Cenni di sociocrazia.
11.30 / 13.00 Integrazione attiva con una sessione di World Cafè.

un approccio storico-culturale al grande tema del conflitto e del dolore

Due definizioni di conflitto:

Un conflitto consiste di almeno due persone che hanno punti di vista divergenti su qualche cosa, ed almeno una delle due persone emotivamente scossa dalla situazione.
(Laird Shaub, Fellowship of Intentional Communties)

Il conflitto è uno stato della Relazione caratterizzato dalla presenza di un Problema cui si associa un Disagio.
(Roberto Tecchio)

Quindi abbiamo un disaccordo (un oggetto del contendere) e un disagio, ma da dove viene il disagio? Ne hanno parlato le religioni, con approcci diversi:

Buddismo

La prima delle Quattro Nobili Verità del Buddismo è la presa d’atto dell’esistenza della sofferenza.

Meditazione è l’atto di guardare in profondità allo scopo di vedere la vera natura di ciò che è. Ciò che c’è (in quel momento) è la nostra felicità e la nostra sofferenza.
(Quando bevi il tè, stai bevendo nuvole, Thich Nhat Hanh)

O monaci, il Tathāgatha, il Venerabile, il Perfettamente risvegliato, ha messo in moto presso Vāranasī, a Isipatana (Sarnath), nel Parco delle gazzelle, l'incomparabile ruota della Legge che non può essere ostacolata da alcun asceta o brāhamana o deva o Māra o Brahmā né da chiunque altro al mondo – la ruota della Legge, cioè l'annunciazione, l'esposizione, la dichiarazione, la manifestazione, la determinazione, la chiarificazione, l'esposizione dettagliata delle Quattro nobili verità. E di quali quattro? Della nobile verità del dolore, della nobile verità dell'origine del dolore, della nobile verità della cessazione del dolore, della nobile verità della via che porta alla cessazione del dolore.
(Buddha Shakyamuni Saccavibhanga Sutta, Majjhima Nikāya, 141)

Ebraismo

Dio ricompensa i buoni in rapporto ai loro meriti e punisce i malvagi in rapporto alle loro colpe:

Se ascolterai la voce del Signore tuo Dio e farai quanto è retto agli occhi Suoi, e obbedirai ai Suoi precetti, e osserverai tutti i Suoi statuti, nessuna delle malattie che ho posto in mezzo agli egiziani porrò sopra di te, perché io il Signore sono il tuo medico.
(Esodo 15,26)

Ma perché il giusto dovrebbe soffrire?

Ero sereno e Dio mi ha stritolato, mi ha afferrato la nuca e mi ha sfondato il cranio, ha fatto di me il suo bersaglio. I suoi arcieri prendono la mira su di me, senza pietà egli mi trafigge i reni, per terra versa il mio fiele, apre su di me breccia su breccia, infierisce su di me come un generale trionfatore.
(Giobbe 16,12-­‐14)

Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il Nome del Signore!
(Giobbe 1,21)

Nel Libro di Giobbe si sottolinea l’impossibilità da parte dell’uomo di scrutare e comprendere il mistero divino. La sofferenza viene così collocata nell’orizzonte di un mistero imperscrutabile.

Noi cercheremo di scrutare nel mistero e nel dolore utilizzando tre terapeuti: Krisnhananda, Willi Maurer, Anastasia Miszczyszyn. La scelta di questi autori fa parte del percorso di ricerca di chi tiene questo corso, non è esaustiva ma solo indicativa.

Krishnananda

Portiamo dentro di noi la ferita del tradimento...
(Fiducia e Sfiducia, Krishnananda e Amana)
...quando queste ferite sono inconsce sabotano la nostra vita...
(Uscire dalla paura, Krishnananda)

Lo schema:

dinamiche di gruppo e processi decisionali

Il nucleo di meditazione dell’essere:
…durante l’infanzia in modo inconsapevole noi viviamo in questo spazio… man mano che usciamo dall’infanzia perdiamo inevitabilmente la connessione con questo stato.

Lo stato di vulnerabilità dell’essere:
… è la casa del nostro bambino ferito… Qui si trovano gioia, sesso, rabbia, tristezza, creatività e silenzio, che vanno e vengono a seconda delle situazioni diverse che il bambino attraversa. Quando la vulnerabilità è collegata con la fiducia… è un’esperienza di espansione e beatitudine. Ma senza fiducia la vulnerabilità porta la paura…
La nostra vulnerabilità è stata tradita… è adesso ricoperta da una coltre di vergogna e di shock… Ma sotto queste sensazioni ce ne sono altre… tradimento, dolore, rabbia e disperazione… Ognuno di noi ha sopportato questi due dolori – l’inadeguatezza e la privazione.

Lo strato protettivo:
Lo scopo di questo strato è quello di proteggere la nostra vulnerabilità… La nostra protezione cerca di trattenerci dal provare paura o dolore. E noi lo facciamo spostando l’energia altrove – nell’azione, nella distrazione, nei pensieri, nel dramma, nel sesso, nel cibo… Uno dei modi più efficaci per proteggere la nostra vulnerabilità è quello di adottare un ruolo… Ci siamo così identificati con la nostra protezione… (A tu per tu con la paura, Krisnananda)

Willi Maurer

Maurer ci dice che da molte generazioni siamo una specie con mancato imprinting. Questa prima ferita è alla base di comportamenti sociali disturbati. 

La separazione del neonato dalla madre, da generazioni una consuetudine della nostra cultura, ha un’influenza fondamentale sull’evoluzione successive della crescita dell’essere umano. Con questa separazione viene a mancare l’imprinting... La prima relazione d’amore dell’essere umano è quella con la madre. Se essa viene disturbata o distrutta... le conseguenze sono... la scissione interiore e comportamenti distruttivi e autodistruttivi. Da adulti per fronteggiarli è necessaria una presa di coscienza che permetta di accogliere amorevolmente il bambino interiore ferito.” “Con separazione si intende l’allontanamento precoce, in particolare quando il bambino viene portato via alla madre al momento stesso della nascita, quando in seguito viene messo nella culla o nella sua stanza piuttosto che a contatto del corpo della madre...
(La prima ferita, Willi Maurer)

Anastasia Miszczyszyn

Il postulato principale della psicogenealogia è che non siamo, come crediamo, esseri singoli separati l’uno dall’altro... si trova nella profondità della psiche, un’anima di gruppo, che unisce gli appartenenti alla stessa stirpe... Quando i diritti naturali di un membro della stirpe vengono negati o violati... si altera la bilancia della giustizia sociale e si crea nella coscienza di gruppo una sofferenza... Se l’individuo interessato non ristabilisce l’equilibrio venendo ripagato di quel che gli è stato tolto oppure riscattando la colpa commessa, l’ingiustizia viene trasmessa alle generazioni successive di discendenti, tra i quali ci sarà qualcuno che raccoglierà la sfida, incaricandosi di cancellare il debito. E lo farà soffrendo per un sentimento doloroso che non gli appartiene...
(Il potere delle radici, Anastasia Miszczyszyn)

“Obblighi d’amore” inconsci ci sospingono a vivere passaggi dolorosi non risolti dalle generazioni che ci hanno preceduto.

Quando delle persone creano un gruppo che raccoglie una sfida alta, con grandi aspettative di cambiamenti e di miglioramenti nella propria vita futura, mettendo in campo ideali e grandi trasporti emotivi, vivono un’esperienza così travolgente che scuote profondamente le sfere emotive. Così come accade in una relazione di innamoramento e di coppia, delle sfere emotive profondamente scosse possono lasciare emergere disagi antichi, consci ed inconsci. Questi disagi possono derivare da problemi non risolti dalle generazioni che ci hanno preceduto, da mancato imprinting e da tradimenti della nostra fiducia vissuti durante la nostra vita di bambini.

È anche possibile che, se non cerchiamo in modo attivo modalità di azione e relazione che ci ricolleghino con le nostre emozioni rimosse, il nostro inconscio cerchi di reintegrare questo vissuto tramite il ruolo delle malattie e degli incidenti.

Nella maggior parte degli incidenti è presente un elemento intenzionale, anche se difficilmente è consapevole.
(F. Alexander, Medicina psicosomatica, 1950)

L’inevitabilità del conflitto è quindi la tesi di questa presentazione.

In una comunità/gruppo un conflitto non riguarda mai solo due persone, e normalmente si allarga a macchia d’olio. Per depotenziare e gestire i conflitti, è necessaria una disposizione interiore di ciascuno ad evolversi ed auto–educarsi ad una comunicazione più sostenibile.

Approccio al disagio

Conoscenza di ranghi e privilegi (Arnol Mindell)

(vedi sotto)

Comunicazione non violenta CNV (Marshall B. Rosenberg)

La cnv integra modo di pensare, linguaggio e forme di comunicazione. Ci aiuta a concentrare la nostra attenzione sui bisogni, a valutare se sono stati soddisfatti e, se non lo sono, a scoprire cosa si può fare per soddisfarli. Ci mostra come esprimerci con più probabilità che gli altri ci accolgano. Ci mostra come ricevere noi i messaggi degli altri in modo da stimolare pure in noi la voglia di contribuire di cuore alla loro vita.
(Eduardo Montoya)

Che cosa ci fa allontanare dalla nostra natura empatica? E che cosa permette invece ad alcune persone di rimanere collegate alla loro natura empatica?

Forum (esperienza ecovillaggi di ZEGG, Sieben Linden, Tamera e altri)
Metodo per esprimere e condividere la propria sfera emotiva in un’atmosfera di protezione e rispetto e in assenza di giudizi. In una seduta di Forum non si prendono delle decisioni pratiche.

Percorsi collettivi di ricerca
Percorsi individuali di ricerca Scelte di ricerca introspettiva e di terapia che esulano dal programma di questo modulo.

Approccio al disaccordo
Creazione dei documenti programmatici -­‐ Ricerca di metodi decisionali orientati al consenso Facilitazione delle riunioni

alcune idee per agevolare la gestione dei conflitti
  • Il conflitto è sempre legato a determinata relazione, e può avere sia una dimensione personale sia una dimensione sociale.
  • Il conflitto è un aggregato sempre costituito da due componenti: il disaccordo e il disagio.
  • Disaccordo: quello che all’interno di una relazione o di una situazione percepiamo come scontro, incompatibilità, divergenza, contrasto, opposizione, ecc., che può essere legato a qualsiasi tema, cioè a diversità di interessi, bisogni, opinioni, valori, ecc., senza che a tutto ciò si associ sul piano esperienziale una qualche forma di disagio.
  • Disagio: quel vissuto soggettivo, rappresentato da una vasta gamma di sensazioni, sentimenti ed emozioni, che dentro noi percepiamo come più o meno spiacevole, doloroso, e fonte di sofferenza.
  • Per gestire i conflitti in modo costruttivo bisogna saperli affrontare in modo costruttivo.
  • Per stare costruttivamente nel conflitto, bisogna saper stare costruttivamente nel disagio.
  • Bisogna quindi porre al centro dell’attenzione il nostro rapporto (a livello personale e sociale) con la nostra sofferenza.
  • Si ha una profonda paura del conflitto perché si ha una profonda paura di soffrire: gestiamo i disaccordi per gestire il disagio.
  • È necessario imparare a distinguere la persona dal suo comportamento, scindere i problemi dalle persone.
  • In ogni conflitto c’è un “oggetto” che va sempre e comunque accettato: la persona, con la sua storia, la sua esperienza, il suo futuro.
  • C’è un “oggetto” che non va sempre necessariamente accettato: il comportamento (tu fai qualcosa che non dovresti fare / tu non fai qualcosa che dovresti fare).
  • Dalla gestione della dimensione interiore del problema / conflitto (Cosa non accetto del comportamento dell’altro?
  • Che effetti ha su di me quel comportamento? Cosa tocca in me?) dipende la gestione della dimensione sociale, che si gioca sul piano della comunicazione.
  • È possibile riformulare il problema in termini di bisogni per poter avviare il processo di trasformazione e risoluzione dei problemi con un processo di “problem solving” in 7 fasi:
    – Creare le premesse relazionali e contestuali che consentono al processo di avviarsi
    – Ridefinire il problema in termini di bisogni
    – Ricercare e identificare possibili soluzioni
    – Valutare pro e contro di ogni soluzione
    – Scegliere la soluzione che sembra migliore
    – Mettere in pratica la soluzione scelta e stabilire il piano di attuazione
    – Prevedere i problemi e i tempi per la verifica dei risultati ottenuti

Il cambiamento di percezione è un obiettivo fondamentale nella gestione costruttiva dei conflitti. Esso consiste nel cambiare il proprio e / o l’altrui punto di vista rispetto ad una determinata situazione fino a vedere le cose in modo significativamente diverso da prima (il processo che porta a tale risultato viene in genere chiamato “ristrutturazione cognitiva”).

Estratto da “La gestione nonviolenta dei conflitti” di Roberto Tecchio
www.autistici.org/azione/consenso/index.html

Uno strumento utile per la gestione del disagio e delle tensioni interpersonali è il “Consiglio di mediazione” formato da 5 persone: le due persone in conflitto, due amici scelti da queste persone, una quinta persona scelta dai due amici ed accettata dai due in conflitto. È la sede protetta per l’incontro a livello emotivo e la riapertura del dialogo in condizioni di sicurezza e creazione di fiducia. Applicando la comunicazione nonviolenta e il problem solving in 7 fasi è possibile avviare nuovamente uno scambio per depotenziare il disagio e fare luce sul disaccordo, nell’ottica di una gestione positiva di entrambi gli elementi di base del conflitto. È molto utile che i tre “arbitri” si incontrino prima per concordare le modalità di base della comunicazione. La sessione non ha un tempo stabilito, ma di solito dura circa due / tre ore.

rango e privilegio

Un elemento fondamentale della dinamica interpersonale è legato a un tema scottante e spesso considerato un tabù sia in gruppi egualitari sia nelle strutture gerarchiche: gli elementi di rango e privilegio. Rango e privilegio sono strettamente legati. Il privilegio è lo spazio che abbiamo a disposizione per essere noi stessi, la libertà di poterci esprimere, l’opzione di scegliere. Il rango è dato dalla somma di tutti i privilegi di cui godiamo. Ognuno di noi ha un rango in qualsiasi situazione si 8 trovi. Il rango non è fisso e immutabile, ma cambia continuamente a seconda del contesto in cui ci troviamo. Normalmente il rango è inconscio, e non siamo consapevoli di come esso agisce su di noi. Siamo abituati a una concezione negativa di rango e privilegio, intesi in senso “aristocratico”, mentre l’accezione data da Arnold Mindell è neutra, intesa nel senso di opportunità che si hanno a disposizione, di energia personale o semplicemente circostanze oggettive. E’ piuttosto l’abuso del potere o del rango che crea il conflitto.

Esistono quattro tipi di rango, divisi in due categorie: Rango esterno e rango interno.

Il rango esterno è a sua volta globale e sociale.
Il rango globale deriva dal paese e dal contesto in cui siamo nati, per cui abbiamo poche possibilità di modificarlo. Es. Colore della pelle, lingua madre, condizioni di salute alla nascita, sesso, tipo di passaporto, casta sociale.
Il rango sociale si riferisce al tipo di educazione, alla ricchezza, al lavoro, ed è possibile un’evoluzione nel corso della vita.
Il rango interno è psicologico e spirituale.
Il rango psicologico si riferisce a quanto una persona è centrata, ben strutturata psicologicamente, quanto è in grado di apprendere, evolversi, auto-­guarirsi e relazionarsi in modo positivo con il contesto.
Il rango spirituale è la capacità di sentirsi parte di un tutto, di appartenere ad un contesto più ampio e onnicomprensivo, può concretizzarsi in una fede religiosa o politica, o una carica ideale molto forte.

Fattori di rango in gruppi ed associazioni di appartenenza: da quanto tempo siamo parte del gruppo? Quanto abbiamo investito economicamente? Siamo più giovani o più grandi degli altri membri? Siamo amici intimi / partner del “capo”? Siamo specialisti in temi di particolare interesse per il gruppo? ecc.

Come leggere i ranghi in noi stessi e negli altri:

dinamiche di gruppo e processi decisionali

Aspetto comportamentale: la persona di rango alto all’interno di un gruppo agisce tendenzialmente in modo rilassato, distaccato, non emotivo, esprime autostima, fiducia in se stessa sia a livello verbale sia con il linguaggio corporeo. Controlla i tempi, monopolizza la discussione, quello che dice ha un peso notevole anche se parla poco.

Le persone di rango basso esprimono mancanza di autostima, non controllano bene la comunicazione verbale, il loro linguaggio corporeo esprime insicurezza, hanno poco peso nel gruppo (sono quasi invisibili), accumulano frustrazione e rabbia repressa e se sono motivati a rimanere nel gruppo prima o poi colpiranno alle spalle quelli di rango più alto (anche con i pettegolezzi e le chiacchiere).

E’ normale e fisiologico che in ogni gruppo ci siano persone di ranghi diverso. Il problema viene dalla cristallizzazione dei ranghi e dagli abusi che ne possono derivare. Si deve cercare di creare una dinamica di circolazione dei ranghi e un livello di empatia relazionale. La persona di rango alto può (e dovrebbe) dare la possibilità agli altri di elevarsi e di condividere i privilegi a cui ha accesso, anche per “salvarsi la vita” e depotenziare i conflitti innescati da una gestione autoritaria del potere.

costruzione del gruppo e documenti fondanti, accordi di base, visione, missione e obiettivi comuni

II documenti fondanti del gruppo possono contenere la Visione, la Missione, a volte gli obiettivi specifici a lungo termine.

Accordi di base: come comunichiamo tra noi e come lavoriamo insieme
Visione: il futuro comune che si vuole creare a livello ideale
Missione: che cosa si farà per crearlo in pratica
Obiettivi: pietre miliari a breve termine che ci si impegna a raggiungere
Verbali delle riunioni che registrano le decisioni prese man mano per realizzare quanto sopra

Gli accordi di base

Per lavorare bene in riunione e raggiungere decisioni partecipate, ogni gruppo ha bisogno di adottare delle norme di comportamento condivise, chiamate spesso “accordi di base”. Gli accordi di base sono proposti e discussi in un momento comune e accettati da tutti i partecipanti. Sono il territorio comune entro cui tutti si sentono a proprio agio, una zona sicura e rassicurante.

dinamiche di gruppo e processi decisionali

Accordi minimi:

  • Tutti partecipano alla riunione, ed in generale, alla vita del gruppo
    Ognuno parla solo a titolo personale (niente “ho sentito dire che…, tutti sanno che….”)
  • Non si interrompe chi sta parlando – nemmeno con chiacchiere a lato
  • Si cercano soluzioni e non solo problemi
  • Si usa la facilitazione

Altri accordi utili e consigliati:

  • Cominciare e terminare la riunione nei tempi stabiliti
  • Avere un Ordine del Giorno chiaro e rispettarlo
  • Parlare uno alla volta
  • Ascoltare con rispetto
  • Non è ammesso attaccare gli altri verbalmente o in modo colpevolizzante
  • Creare un clima di fiducia reciproca
  • Silenzio  assenso (chi tace acconsente)

La visione: Avere una visione comune significa innanzi tutto lavorare sull’identità del gruppo.

Una cellula è caratterizzata da un limite esterno che separa il sistema vivente – il sé – dall’ambiente circostante. (…) L’esistenza della membrana cellulare è una condizione imprescindibile per la vita della cellula, essa regola la composizione molecolare e in questo modo preserva l’identità della cellula stessa.
(Fritjof Capra, La scienza della vita).

Ogni civiltà vive su un’Idea, il concetto che fonda la sua identità unica, le sue passioni, i suoi sentimenti, il senso della sua missione e del suo destino. L’essenza vitale di ogni civiltà, quella sequenza di grandi periodi che definiscono e illustrano le fasi della grandezza, non è che una lotta appassionata per sostenere l’Idea contro la potenza del Caos. L’Idea consiste nei principi ispiratori e nello schema che riuniscono l’energia collettiva del popolo e creano un universo sociale ordinato.
(Jeremy Rifkin, “Economia all’idrogeno”)

L’assenza di una visione comune, che spesso si ripercuote sull’assenza di accordi chiari e condivisi, è una importante causa di fallimento dei gruppi. Il primo banco di prova di un gruppo è elaborare la visione, metterla per iscritto ed assicurarsi che tutti i membri del gruppo la sostengano.

La visione:

  • Descrive il futuro comune che si vuole creare in termini ideali e ambiziosi
  • Si fonda sui valori centrali del gruppo e li comunica chiaramente
  • Esprime concetti con i quali ogni membro del gruppo si può identificare
  • Aiuta ad unificare e sintonizzare l’impegno e l’energia collettiva
  • È un punto di riferimento a cui ritornare nei momenti di disaccordo e confusione
  • Mantiene alto il livello di ispirazione del gruppo ed attrae nuovi membri
  • È chiara, concisa, attraente, comprensibile anche ad altri
  • Idealmente è breve, 20-40 parole, e memorizzabile

Esempio: “Un mondo che rispetti la diversità di tutti gli esseri viventi e che soddisfi le proprie necessità in modo sostenibile, vivendo in armonia con la natura e con lo spirito” (Comunità Nature’s Spirit, USA).

La missione (o Carta di intenti):

  • Esprime la visione del gruppo in modo concreto e in termini fisici
  • Spiega cosa si farà in pratica per attuare gli intenti comuni e realizzabili
  • Rappresenta un progetto operativo ma non definisce modalità e tempi specifici
  • Comunica all’esterno il tipo di attività che si intende realizzare insieme

Esempio: “Creare una comunità residente in cui vivere e lavorare per espandere la propria consapevolezza vivendo in sostenibilmente ed in armonia con la natura e lo spirito. Questo ci permetterà di prestare servizio, condividere la nostre esperienze ed essere collegati con altri progetti a livello globale e locale” (Nature’s Spirit).

Il documento programmatico (gli obiettivi):

  • Descrive attività misurabili in tempo e spazio a breve o medio termine
  • Offre maggiori dettagli pratici rispetto alla carta di intenti
  • Viene rivisto periodicamente in base alle decisioni prese dal gruppo
  • Viene completato dall’elenco delle responsabilità, dai tempi di realizzazione definiti in riunione, e da come i membri si impegnano reciprocamente a ricordarsi gli impegni presi

Esempio: “Acquistare ed avere una cura di una proprietà comune, un terreno che dia accoglienza in modo ecologico ad un gruppo di circa 50 persone; costruirvi un’infrastruttura autonoma e in grado di auto-mantenersi per soddisfare le nostre esigenze principali; costruire case, un punto di incontro per residenti e alloggi per ospiti usando metodi edilizi e fonti energetiche sostenibili”.

esercizio: suddivisi in gruppi proviamo a scrivere accordi di base, visione e missione
le proposte: cosa sono e come presentarle al gruppo in modo corretto

Una proposta è l’espressione della capacità di guida e della presa di responsabilità a livello personale da parte di ognuno dei partecipanti al gruppo. Trasmette a parole l’energia, la creatività e l’interesse personale di chi la presenta, ed è un elemento chiave del rango di ciascun membro. Presentare proposte è una capacità da perfezionare, e vale la pena di impararla per risparmiare tempo e fatica, sia a stessi sia al gruppo. Una riunione fluisce in modo costruttivo quando sono presenti: un Ordine del Giorno concordato che contiene proposte chiare, un buon facilitatore e molti partecipanti con un alto livello di motivazione.

Una proposta è:

  • Una dichiarazione, una frase che descrive con chiarezza l’azione da compiere
  • Presentata da un membro del gruppo o da una commissione o un sottogruppo
  • Creata per focalizzare e chiarire le idee di tutti in relazione ad una determinata tematica
  • Discussa e modificata quanto è necessario fino a aggiungere una decisione che tutti possono sostenere ed accettare
  • Registrata nel verbale della riunione e riletta ai presenti.

Contenuti e sviluppo della proposta:

  • Titolo breve ed esplicito del problema/opportunità che si presenta al gruppo
  • Non contiene nel titolo il nome di chi la presenta, che viene messo tra parentesi dopo il titolo (ad es: “Proposta di organizzare una festa danzante” (Giorgio) e non “Proposta di Giorgio ”)
  • Data e breve riassunto del contenuto
  • Antecedenti: storia, descrizione del problema, opportunità
  • Spiegazioni / obiettivi che si vogliono raggiungere; perché la si presenta in questo momento
  • Pro e contro: 3 possibili benefici e 3 potenziali difficoltà
  • Alternative alla proposta, compreso il non fare nulla

Abuso della procedura per la presentazione di proposte:

  • Non presentare una proposta finché non la si ritiene perfetta
  • Presentare una proposta che non si è disposti a modificare, usarla come gioco di potere e rimanere attaccati alla formulazione originale
  • Presentare un piano dettagliato troppo presto
  • Presentare troppe proposte su questioni banali e risolvibili al di fuori della riunione

Le fasi della presentazione di proposte:

  • Presentazione (1° volta che se ne parla): I punti di questo tipo richiedono al massimo 5 minuti. Sono ammesse solo le domande di chiarimento sul contenuto della proposta, e non la discussione nel merito.
  • Discussione su una proposta già presentata: si apre il dibattito con commenti, dubbi e modifiche rispetto alla proposta originale, anche con brainstorming (o altra tecnica) per identificare le problematiche prima di discuterne in modo più approfondito. I nodi non risolti vanno segnalati per decidere come scioglierli (delegare ad un comitato? pianificare un’altra riunione di tutti? Cercare un esperto? Altre idee?)
  • Decisione: è la fase finale, tutti i dubbi sono sciolti e la discussione è terminata, il gruppo è pronto a decidere.
il processo decisionale: dalla proposta alla decisione: criteri, attori e fattori in gioco

Il processo decisionale attraversa varie fasi e coinvolge molte più persone e fattori di quelli a cui pensiamo normalmente.

Il processo decisionale
dinamiche di gruppo e processi decisionali

Questo modello è diviso in 3 fasi:

  1. Definizione del problema e dello scopo della decisione da prendere
  2. Ricerca e discussione articolata in 4 fasi
  3. Decisione finale

I passi 2, 3, 4 e 5 possono avvenire in qualsiasi ordine, e spesso è necessario ripeterne alcuni per poter giungere ad una decisione solida e ben ponderata.

I criteri servono come riferimento obiettivo ed aiutano il gruppo ad evitare scontri basati solamente sulle preferenze personali. Sono degli standard normativi, degli strumenti oggettivi di valutazione della decisione, spesso espressi in forma numerica o comunque quantificabili (quanto costa? In quanto tempo? In che percentuale? ecc). Essi garantiscono che la decisione finale soddisfi i requisiti di base e rende più facile sostenerla. I criteri stabiliti nel Passo 2 sono usati nel Passo 5 (“valutare le opzioni”) per valutare le alternative generate nel Passo 4.

Gli attori del processo decisionale sono tutte le persone interessate, attivamente o passivamente, dagli effetti della decisione presa. E’ importante avere presente chi sono le persone coinvolte e come potrebbero comportarsi nel processo decisionale o nella realizzazione della decisione presa:

  • Chi potrebbe proporre l’idea
  • Chi condurrà le ricerche
  • Chi sarà consultato
  • Chi sarà informato
  • Chi deciderà
  • Chi metterà in pratica la decisione
  • Chi sarà influenzato dalla decisione

I fattori del processo decisionale riguardano i diversi aspetti che influenzano ciascuno degli attori sopra menzionati.

interesse personale o politicoanalitico, quantitativoculturale, ideologicointuitivo, irrazionale
Guadagno economicoStatisticoValoriSogni
Avanzamento professionaleModelli matematiciPrincipiDivinazione (Tarocchi, I Ching, rune…)
Sviluppo professionaleTeoria delle probabilitàCredenze religioseOracolo
Preferenza individualeAnalisi costo/beneficiTradizioni localiOroscopo
Pressione dei pariSimulazioniFede politicaMessaggi del corpo
metodi decisionali a confronto
il principio di maggiornanza

In base a questo principio in sede di votazione prevale l’opzione che ha raccolto la maggioranza di consensi. E’ uno dei capisaldi della democrazia rappresentativa e di alcune forme della democrazia diretta, anche se non sono solo i sistemi democratici ad utilizzarlo e, di converso, anche nei sistemi democratici non tutte le decisioni collettive vengono prese in questo modo.

Il principio di maggioranza è adottato da organismi di ogni tipo, comprese le assemblee parlamentari, e per l’elezione di rappresentanti o l’assunzione diretta di decisioni da parte del corpo elettorale o di altre collettività (ad esempio, i membri di un’associazione). In tutti questi casi, secondo il criterio adottato delle norme che regolano la votazione o l’elezione per stabilire quando la proposta è approvata o il candidato eletto, si possono avere diversi tipi di maggioranza: relativa, semplice, assoluta o qualificata.

Maggioranza relativa: un’opzione ottiene la maggioranza relativa se ha un numero di voti superiore a quelli ottenuti da ciascun’altra opzione nella stessa votazione. A volte comporta due turni di votazione (primo turno e ballottaggio).

Maggioranza semplice: un’opzione ottiene la maggioranza semplice se ha un numero di voti superiore alla metà del numero totale di votanti. Se le opzioni su cui si vota sono solo due, quella che ottiene più voti ne avrà senz’altro più della metà, sicché maggioranza semplice e relativa coincidono. Non conteggia gli aventi diritto che non esercitano il diritto di voto, anzi la loro assenza abbassa il quorum.

Maggioranza assoluta: un’opzione ottiene la maggioranza assoluta se ha un numero di voti superiore alla metà del numero totale degli aventi diritto al voto. Se tutti coloro che avevano diritto al voto lo hanno esercitato, maggioranza semplice e assoluta coincidono.

Maggioranza qualificata: un’opzione ottiene una maggioranza qualificata se ha un numero di voti uguale o superiore ad un quorum superiore alla metà del numero totale degli aventi diritto al voto (3/5, 2/3, 3/4 e 4/5) oppure ad numero minimo di voti da raggiungere. Viene solitamente utilizzata per decisioni di particolare importanza e che richiede un ampio consenso: modifica delle norme fondamentali sull’organizzazione e il funzionamento di un ente, come le costituzioni e gli statuti.

il metodo del consenso

È una alternativa al processo decisionale a maggioranza, considerata come un metodo competitivo piuttosto che cooperativo, che incasella il processo decisionale in una dicotomia “vinci/perdi” ed ignora la possibilità del compromesso o di altre soluzioni reciprocamente vantaggiose. Al contrario, gli oppositori di questo metodo sostengono che la regola della maggioranza porta ad una migliore prassi di deliberazione rispetto a quelle alternative, perché richiede ad ogni membro del gruppo di proporre argomentazioni che facciano appello ad almeno la metà dei partecipanti e quindi incoraggia la creazione di coalizioni.

La regola della maggioranza è spesso percepita come alienante e come una sottrazione di potere, perché sottopone coattivamente una minoranza ad aderire alla posizione di una maggioranza. I fautori del consenso spesso sostengono che questa “tirannia della maggioranza” aggrava il problema della parzialità e può ridurre la coesione del gruppo e l’efficacia delle decisioni.

I sostenitori del metodo del consenso spesso affermano che la decisione a maggioranza riduce l’impegno di ogni singolo decisore all’interno del processo decisionale. Coloro che aderiscono ad una posizione di minoranza possono sentirsi meno impegnati a partecipare all’elaborazione di una decisione e sentirsi deresponsabilizzati riguardo alla decisione presa dalla maggioranza. Il risultato di questo impegno ridotto, secondo molti fautori del metodo del consenso, predispone potenzialmente la minoranza a non difendere o ad agire in favore della decisione presa dal gruppo.” (Wikipedia)

È bene chiarire che il metodo del consenso non significa unanimità. In caso di unanimità tutti nel gruppo sono d’accordo, tutti sono convinti di aver fatto la scelta migliore in quel momento, tutti sono “vincitori”. Il processo decisionale consensuale ha invece origine da un conflitto: non tutti sono d’accordo! Il gruppo deve avere chiaro, al suo interno, che l’importante è che la decisione venga presa, e che per il bene del gruppo ciò deve avvenire nel rispetto della posizione di ciascun membro. Tutti sono invitati a facilitare il processo cercando di lasciare da parte i vissuti personali o eventuali conflitti interpersonali. Tutti i componenti del gruppo sono in possesso delle medesime informazioni. Si cerca di chiarire il più possibile la differenza tra le posizioni in conflitto ed i punti che queste hanno in comune. Si cerca anche di chiarire la situazione emotiva, per capire quanto incide sul conflitto, quanto influisce sulla razionalità e perché. Per tutto questo può essere utile la figura del facilitatore, che può anche non partecipare alle decisioni e concentrarsi solo sul proprio compito.
(Roberto Tecchio)

Il consenso è un metodo decisionale che cerca di risolvere i conflitti in forma pacifica e di sviluppare in modo cooperativo decisioni che tutti possano appoggiare.
(Bea Briggs)

Assunto di base:
Ogni persona ha una parte importante della verità! (Società Religiosa degli Amici, Quaccheri)

Valori fondanti:
rispetto reciproco, fiducia, cooperazione, non-­‐violenza, buona volontà, lealtà, verità, amore per la diversità, responsabilità condivisa.

Affinché il metodo funzioni bene sono necessari sei elementi di base:

  • Volontà di condividere il potere
  • Impegno consapevole e informato sul metodo del consenso
  • Uno scopo comune, chiaro ed esplicito
  • Un ordine del giorno ben strutturato
  • La necessità di prendere una decisione
  • Una facilitazione efficace

Processo decisionale:

  • Con il metodo del consenso non c’è una vera e propria votazione
  • Prima di arrivare a prendere una decisione si presentano idee o proposte, se ne discute e, se è necessario, si modificano anche diverse volte
  • Finché non si raggiunge il consenso non si passa all’azione
  • Quando si prende una decisione, si richiede ai partecipanti di prendere ruoli attivi nella realizzazione – chi fa cosa, in che tempi, a chi ne risponde, a chi chiede aiuto
  • Non è necessario / opportuno presentare, discutere e prendere decisioni su cose importanti in una sola riunione – attenzione a chi usa il drappo rosso dell’urgenza
  • L’intento è risolvere qualsiasi preoccupazione, dubbio o obiezione rispetto ad una proposta in modo pacifico e collaborativo, in modo tale che tutti possano appoggiare la decisione presa
  • Al momento di prendere una decisione, i partecipanti hanno 3 opzioni:
    – bloccare
    – stare da parte
    – dare il consenso.

Bloccare: questa posizione evita che si la proposta vada avanti, almeno per il momento. Bloccare una decisione è una cosa seria che si fa solo quando si crede realmente che accettare la proposta implichi una violazione dei valori, dell’etica o della sicurezza del gruppo; non si può bloccare per gusti personali o motivi egoistici. Ogni blocco va spiegato chiaramente al gruppo.

Stare da parte: una persona sta da parte quando a livello personale non può appoggiare una proposta, però sente che sarebbe bene se il gruppo l’adottasse. Star da parte è prendere una posizione di non partecipazione per principio, che assolve la persona da qualsiasi responsabilità nella presa della decisione.

Dare il consenso: Quando tutti i membri del gruppo (eccetto chi sta da parte) approvano una proposta, si è raggiunto il consenso. Dare in consenso a una proposta non implica necessariamente che si apprezzi ogni suo aspetto, però implica che, a parte i punti in disaccordo, si è disposti ad appoggiare la decisione, a prendere parte attiva e rimanere solidali con il gruppo. Una decisione presa per consenso può essere cambiata solo attraverso un’altra decisione presa per consenso.

cenni di sociocrazia

La Sociocrazia ebbe origine a metà del XIX secolo, e fu creato dal filosofo francese Auguste Comte, lo stesso che sviluppò la sociologia (lo studio delle persone in gruppi sociali). La radice della parola sia per “sociologia” sia per “Sociocrazia” è il termine latino “socio” il che significa associato o compagno. Il suffisso “-­‐ologia” significa lo “studio di” come in archeologia, psicologia, ecc. Il suffisso “-­‐ocrazia” significa “governare”, quindi il governo dei soci, dei compagni. La moderna Sociocrazia è stata sviluppata da Gerard Endenburg come metodo per gestire la sua azienda di materiali elettrici ed è applicabile a qualsiasi organizzazione. Negli Stati Uniti viene insegnata in corsi universitari in diverse facoltà: economia e commercio, scienze politiche, storia e sociologia.

La Sociocrazia è allo stesso tempo:

  • Un ideale sociale che valorizza l’uguaglianza e i diritti delle persone di determinare le condizioni in cui vivono e lavorano
  • Un metodo pratico per organizzare associazioni, imprese e governi, grandi e piccoli, in modo efficace, armonioso e collaborativo.

Non si limita ad una dichiarazione di valori ideali – come libertà e l’uguaglianza ­– o al diritto all’autodeterminazione delle persone o dei gruppi, ma va più in profondità: si tratta di un metodo pratico di organizzazione sociale. A differenza della democrazia, che è tradizionalmente basata sulla regola della maggioranza, la sociocrazia si basa su principi e azioni che guidano la messa in pratica di questi valori etici e ne garantiscono il rispetto.

…La Sociocrazia è un approccio sistematico e globale per progettare e governare un’organizzazione. E’ sia gestione sia struttura, e può essere utilizzata in organizzazioni pubbliche, private, in imprese commerciali e nel settore no-­‐profit. Sottolinea l’inclusione e la cooperazione al fine di migliorare le prestazioni e aumentare l’armonia, l’efficacia e la produttività… Si basa sulla convinzione e sull’esperienza che le persone che si conoscono e lavorano insieme sono più propense a prendere decisioni valide per se stesse di quanto lo sia un vasto e lontano gruppo di elettori o legislatori. La Sociocrazia garantisce la creazione di una società in cui libertà e uguaglianza sono determinate dalle persone che hanno un ruolo attivo nella creazione di una democrazia più profonda.

Le decisioni politiche sono accordi su come utilizzare le risorse di un’organizzazione o di un governo, che ruoli ricopriranno le persone, come sarà eseguito un lavoro, come definire gli standard di qualità, ecc. Queste decisioni sono delegate ai gruppi più direttamente interessati. Tutti i gruppi presenti in un’organizzazione prendono decisioni politiche.

Il principio dell’assenso significa che le preoccupazioni e le obiezioni di ciascun membro su una decisione che lo riguarda direttamente devono essere risolte prima che essa possa essere attuata. L’assenso è raggiunto quando “non ci sono obiezioni gravi”. Dare il proprio assenso non richiede l’unanimità, né totale accordo o approvazione. Significa che si dà l’assenso a procedere come proposto e si sostiene la decisione. L’obiettivo è quello di andare avanti con la migliore azione disponibile al momento.
Richiedere l’assenso assicura che una decisione sarà sostenuta da tutti fino a quando non vi sarà un valido motivo per modificarla in base all’esperienza o cambiamenti nelle condizioni. Tutte le decisioni sono riviste a scadenze regolari; come per i bilanci, non sono necessariamente in vigore per sempre.

I membri di una qualsiasi organizzazione sociocratica hanno la garanzia della propria capacità di determinare in modo collaborativo le condizioni di lavoro e di vita in qualità di cittadini, dipendenti, membri, vicini di casa o studenti.
(tratto ed adattato da What Is Sociocracy and Why Do You Need it? (Cos’è la Sociocrazia e perché ne hai bisogno?) http://www.sociocracy.info/about-sociocracy/what-is-sociocracy/

Le obiezioni devono basarsi su ragioni per cui una politica influenzerà la capacità di attuare la decisione: Una proposta che rende il nostro lavoro più difficile e diminuirà la nostra efficacia. La decisione di adottare un’azione che è in conflitto con lo scopo del gruppo. Un’obiezione deve affrontare lo scopo del gruppo e la nostra capacità di lavorare verso di essa.

Il consenso è richiesto all’interno del gruppo di mettere la politica in vigore. Non tutti devono acconsentire a tutte le decisioni.

Consenso e assenso
La Sociocrazia fa distinzione tra “consenso” e “assenso” per sottolineare che le decisioni non devono produrre necessariamente un “consenso” unanime. Le obiezioni che vengono presentate si basano sulla capacità di lavorare per raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione. Un gruppo che lavora con l’assenso si pone queste domande: “è abbastanza buono per adesso, è accettabile? è abbastanza sicuro per poterlo mettere in pratica?”. Se la risposta è no, nasce un’obiezione che porta a modificare la proposta originale per ottenere l’assenso.
Il metodo del consenso applicato da molti gruppi è un processo di gruppo completo che utilizza una definizione di consenso vicino a quello dei Quaccheri. Sebbene venga formalmente definito ed insegnato in modo simile alla Sociocrazia, è spesso frainteso dai gruppi che lo usano e confuso con “accordo unanime” o con il prevalere di interessi personali.
In Sociocrazia l’assenso è un metodo decisionale applicato all’interno di uno schema di governo sofisticato, in grado di sorreggere una struttura organizzativa complessa.

Espresso in termini semplici, il cofondatore del “Sociocratisch Centrum” Reijmer ha riassunto la differenza come segue: “Per il consenso, devo convincerti che ho ragione, con l’assenso ti chiedo se puoi convivere con questa decisione”.

bibliografia e fonti utili
In Italiano:

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Dethlefsen, Thorwald e Dahlke, Rudiger (1984). Malattia e destino. Il valore e il messaggio della malattia. Edizioni Mediterranee, Roma.
Harari, Yuval Noah (2012). Da animali a Dei, breve storia dell’umanità. Edizioni Bompiani Overlook, Milano.
Holmgren, David (2010) Permacultura. Dallo sfruttamento all’integrazione. Progettare modelli di vita etici, stabili e sostenibili. Il Filo Verde, Arianna Editrice, Bologna.
Krishnananda (1997). A tu per tu con la paura. Un percorso d’amore attraverso le relazioni dalla co-dipendenza alla libertà. Edizioni Urra / Apogeo, Milano (ripubblicato da Feltrinelli).
Krishnananda (2004). Uscire dalla paura. Rompere l’identificazione col bambino interiore. Edizioni Universale Economica Feltrinelli, Milano.
Maurer, Willi (2009). La prima ferita. L’influenza dell’imprinting sul nostro comportamento. Un percorso di guarigione. Terra Nuova Edizioni, Firenze.
Maurer, Willi (2009). Il senso di appartenenza. Alla ricerca delle proprie radici: un viaggio essenziale per una vita più intensa e consapevole. Terra Nuova Edizioni, Firenze.
Lietaert, Matthieu (2007). Cohousing e condomini solidali. Guida pratica alle nuove forme di vicinato e vita in comune. Editrice AAM Terra Nuova, Firenze.
Miszczszyn, Anastasia (2008). Il potere delle radici. Sciogliere i nodi del destino, amare e prosperare con la psicogenealogia. Edizioni Urra / Apogeo, Milano.
Olivares, Manuel (2010). Comuni, comunità ed eco villaggi. Edizioni Viverealtrimenti (ampliamento del libro del 2003 su scala europea e mondiale).
Rosenberg, Marshall (2003). Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla Comunicazione Nonviolenta. Edizioni Esserci, Reggio Emilia.
Scaglione, Daniele e Vergnani, Paolo (2000). Manuale di sopravvivenza al conflitto. Edizioni Full Vision e Amnesty International, Bologna.
Dahlke, Ruediger (2011). Ombra, apri la porta al lato oscuro della tua anima. Edizioni Macro, Cesena.
In Inglese:

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Jackson, Hildur and Svensson, Karen (2002). Ecovillage Living. Restoring the Earth and Her People. Gaia Trust and Green Books, Totnes England UK.
Leafe Christian, Diana (2003). Creating a life together. Practical tools to grow Ecovillages and Intentional Communities. New Society Publishers, Canada.
Mindell, Arnold (1992). The Leader as Martial Artist: An Introduction to Deep Democracy (1st ed.). San Francisco: Harper San Francisco.
Mindell, Arnold (1995). Sitting in The Fire: Large Group Transformation Using Conflict and Diversity (1st ed.) Oregon Lao Tse, Press Portland.
Metcalf, (William) Bill (2004) The Findhorn book of Community Living. Findhorn Press, Forres, Scotland UK.
Metcalf, (William) Bill (1996) Shared Visions, Shared Lives. Communal Living around the Globe. Findhorn Press, Forres, Scotland UK.
Walker, Liz (2005). Eco Village at Ithaca. Pioneering a Sustainable Community. New Society Publishers, Canada.
Alcuni siti web interessanti:

Global Ecovillage Network: http://gen.ecovillage.org/
Rete Italiana Villaggi Ecologici RIVE http://www.ecovillaggi.it/
Il Processo Decisionale Consensuale: Documentazione in lingua italiana – a cura di Roberto Tecchio http://www.autistici.org/azione/consenso/index.html
Metodo del Consenso http://www.utopie.it/nonviolenza/metodo_del_consenso.htm
“International Institute for Facilitation and Change” (ex “International Institute for Facilitation and Consensus”) http://www.iifac.org/index.php
Sociocracy, a deeper democracy http://www.sociocracy.info/